Nell’ambito del turismo
enogastronomico legato ai prodotti d’eccellenza della provincia di Parma, va
ricordata la Strada del Prosciutto e dei Vini. È un percorso che lega la città
alla montagna, attraverso il passaggio nelle valli in cui si incanala il vento
che viene dal mare.
Il nostro viaggio inizia fra le
vallate del Taro e del Baganza, nella zona precollinare. Qui ci si addentra nel
parco regionale dei Boschi di Carrega che racchiude un gioiello architettonico:
il Casino dei Boschi, una residenza settecentesca fra le preferite da Maria
Luigia. La duchessa si rifugiava qui durante i mesi estivi, pur avendo a
disposizione la Reggia di Colorno. Maria Luigia però non amava il clima molto
umido della bassa e preferiva di gran lunga soggiornare fra queste colline. Il
Casino dei Boschi è opera dell’architetto francese Ennemond Petitot, molto
attivo nel Ducato di Parma sotto la dinastia dei Borbone. In particolare,
Petitot lavora a questo progetto per circa 14 anni, sotto la duchessa Maria
Amalia. Iniziata nel 1775 e terminata nel 1789, questa costruzione era a due
piani con una torretta, un cortile a forma quadrata e comprendeva anche una
cappella e alcuni servizi. Dopo il suo arrivo a Parma, Maria Luigia ne cambia
notevolmente l’architettura. Nicola Bettoli, l’architetto di corte, abolisce la
torretta centrale e alza la costruzione di un piano. La modifica maggiore
riguarda però la costruzione di un lungo colonnato in stile neoclassico,
aggiunto al fianco del corpo principale, che prenderà il termine popolaresco di
‘Prolunga’. Nella parte centrale del colonnato, il Casinetto ospitava il
piccolo teatro di corte ed era completato da una torre con orologio.

Casino dei Boschi - Sala Baganza
Il Casino dei Boschi ha avuto vari
proprietari ed è tuttora di proprietà privata, ma grazie ad una convenzione, i
proprietari lo hanno aperto a visite guidate e ne hanno concesso l’uso per
eventi culturali di vario genere. Il Parco Regionale dei Boschi di Carrega è
stato istituito nel 1982 ed è stato il primo parco regionale
dell’Emilia-Romagna. Fa parte del circuito turistico e naturalistico dei Parchi
del Ducato e si estende fra i fiumi Taro e Baganza, nel territorio dei comuni
di Collecchio e Sala Baganza.
Rocca Sanvitale - Sala Baganza
Dopo aver attraversato il bosco, si
arriva a Sala Baganza, anticamente feudo della famiglia Sanvitale. La Rocca
Sanvitale, costruzione del XVI secolo, sovrasta la piazza principale del paese.
Il palazzo ha subito un lungo e complicato restauro in tempi recenti, dovuto
anche al terremoto del 2009; da poco è di nuovo visitabile e fa parte del
circuito dei Castelli del Ducato. La Rocca è stata costruita da Stefano
Sanvitale, feudatario degli Sforza di Milano, nel 1461. Giberto III Sanvitale
nel ‘400 la fa ampliare, diventando a tutti gli effetti una fortezza difensiva.
Giberto IV Sanvitale, marito di Barbara Sanseverino, circa un secolo dopo, ne
abbellisce gli interni del piano nobile con vari affreschi che si possono
ancora vedere. Caduti in disgrazia i Sanvitale, la Rocca passa ai duchi di
Parma, prima i Farnese, poi i Borbone. Solo il duca Antonio Farnese ha
soggiornato stabilmente nella Rocca e a lui si deve la costruzione della Cappella
Palatina, all’interno. La Rocca deve il suo attuale aspetto ad alcune
demolizioni portate a termine in epoca napoleonica. Attorno alla Rocca si trova
il giardino Farnesiano, detto ‘Giardino dei Melograni’, fatto costruire nel
XVIII secolo su progetto di Ennemond Petitot, per ospitare orti e frutteti.
Dopo varie vicissitudini e anni di abbandono, è stato di nuovo riaperto al
pubblico nel 2009. All'interno della Rocca ha sede il Museo del Vino e non è un
caso visto che Sala Baganza si trova al centro della zona di produzione della Malvasia,
vino al quale è dedicata una festa nel mese di maggio con un premio al miglior
produttore.

Museo del Vino - Sala Baganza
Si tratta di sei sale tematiche in
cui si parla del vino fin dall'antichità. Si inizia con l'archeologia del vino
nel Parmense e troviamo esposte anfore romane e bicchieri introdotti nell'uso
quotidiano dalle popolazioni celtiche che hanno trasmesso anche la loro usanza
di bere vino senza annacquarlo, cosa che è diventata la regola. Nella seconda
sala si parla della vite e della viticultura, attraverso un filmato che
illustra le varie fasi della lavorazione. Quindi si passa alla vendemmia e alla
preparazione del vino. Si scende poi nella ghiacciaia, un tempo riempita di
neve, che serviva come frigorifero, per conservare il vino già imbottigliato.
Un filmato ci spiega il ruolo del vino nella storia, nell'arte e nelle
tradizioni. Poi si passa alla sala in cui si scopre la storia delle botti e dei
cavatappi, di cui viene esposta un'intera collezione. L'ultima sala è dedicata
a quelle persone che hanno avuto un ruolo determinate nella viticultura
parmense e a quegli intellettuali che hanno apprezzato i prodotti vinicoli
della zona. Dopo la visita è d'obbligo la degustazione nell'enoteca, che
propone un assaggio di vino accompagnato dagli immancabili salumi tipici e dal
Parmigiano-Reggiano.

Malvasia di Candia aromatica
Il Colli di Parma Malvasia amabile è
un vino chiaro, dal colore giallo paglierino, prodotto interamente col vitigno
Malvasia di Candia Aromatica o con un'aggiunta di Moscato Bianco, non oltre il
5%. La sua variante secca si abbina particolarmente con Culatello e Prosciutto.
La Malvasia è un vitigno originario dell'isola di Creta (dalla città principale
dell'isola, Candia, viene il nome del vitigno) e importato dai Veneziani ai
tempi del loro dominio nel Mediterraneo. Il vitigno non ha però attecchito nel
Veneto, mentre ha avuto successo nelle colline parmensi che hanno un microclima
simile per certi aspetti a quello di Creta. Sia la Malvasia amabile che secca
sono vini DOC e possono essere prodotti anche come spumante col metodo classico
o Charmat. La sua produzione annua si attesta su una media di 4000 ettolitri.
Particolarmente apprezzata la Malvasia di Maiatico, prodotta sulle colline attorno
a Sala Baganza; talmente apprezzata, che Giuseppe Garibaldi ne aveva raccolto
alcuni vitigni e li aveva piantati a Caprera, dove peraltro avevano attecchito
splendidamente.

Castello di Felino - Felino
Attraversando il torrente Baganza, si
arriva a Felino, la patria del salame. Felino è un paese a forte vocazione
alimentare. Tante sono le aziende di stagionatura sia del salame che del
prosciutto, perché siamo comunque nella zona di produzione di entrambi. Anche
Felino ha un castello sorto a difesa della valle del Baganza nel XII secolo,
all'interno del quale si trova il Museo del Salame che celebra il prodotto
principe della zona: il Salame di Felino IGP.
Il Castello di Felino è stato
costruito nell’890 e ampliato nei tre secoli successivi. L’imperatore Federico
Barbarossa lo assegna nel 1140 a Guido Ruggeri, cavaliere di Parma. Nel XV
secolo, grazie ai matrimoni fra le famiglie Ruggeri e Rossi, diventa proprietà della
famiglia Rossi, fino alla morte di Pier Maria Rossi, avvenuta nel 1482. Nel
‘700 diventa residenza del vescovo di Parma, ma viene progressivamente
abbandonato. Restaurato nel ‘900, delle sue parti originali resta ben poco, fra
queste le cucine nel seminterrato, inserite fra le sale del Museo del Salame.
Attualmente ospita un ristorante dedicato ad eventi privati.

Museo del Salame -Felino
Il Museo del Salame si sviluppa su
cinque stanze, di cui una, come detto, è l'antica cucina. Troviamo qui la
storia, la gastronomia, le curiosità, una sala dedicata alla norcineria,
possiamo vedere lo sviluppo tecnologico nella lavorazione del salame e un video
in cui sono raccolte le testimonianze di chi ha lavorato nel settore. In una
sezione del museo viene sottolineato il fatto che il salame nel Parmense è
simbolo di ospitalità. È normale per i Parmigiani e lo posso confermare,
invitare un ospite a mangiare ‘due fette di salame’. Il poeta Renzo Pezzani fa inoltre notare in
una sua poesia che dare del ‘salame’ ad una persona qualsiasi può essere causa
di denuncia, ma dare del ‘salame’ ad un Parmigiano è al contrario voler fare un
complimento, vista la bontà del prodotto.
Castello di Torrechiara
Superato l’abitato di Felino, si
torna nella valle del torrente Parma. Qui non si può non ammirare il maestoso
castello di Torrechiara che domina la valle. Insieme alla Reggia di Colorno è
il castello meglio conservato fra quelli del Ducato. Il castello è stato fatto
costruire da Pier Maria Rossi, fra il 1448 e il 1460, naturalmente come difesa
della valle, dato che la posizione strategica, nella valle del torrente Parma,
permetteva il controllo delle strade di accesso sia alla Liguria, sia alla Toscana.
Ma la sua costruzione è stata concepita anche come luogo d'incontro fra Pier
Maria Rossi e le sue amanti, in particolar modo Bianca Pellegrini, giovane
nobildonna comasca, morta proprio nel castello. La 'Camera d'Oro', la stanza
meglio conservata del castello, era l'ambiente in cui Pier Maria Rossi
ritrovava la sua amante Bianca, ritratta negli affreschi sempre in cerca di
Pier Maria. Il castello si affaccia sui vigneti di Malvasia che occupano tutta
la parte della collina fra il castello stesso e la Statale Massese. La Malvasia
in questa zona regna sovrana; è il vino bianco per antonomasia della zona
collinare parmense e tutte le aziende intorno al castello fanno parte del Consorzio
di tutela del vino Colli di Parma, unico vino DOC della provincia. Le viti
erano diffuse nella zona ancora prima della costruzione del castello e negli
affreschi al suo interno sono spesso dipinti i pergolati delle viti che
contornano le figure.

Borgo di Torrechiara
Attorno al castello sorge il borgo,
un piccolo villaggio di case che ricorda come doveva essere la vita all’epoca,
quando il castello era in auge. Coloro che lavoravano nel castello o che lo
dovevano servire, vivevano attorno e in pratica erano protetti dalle stesse
mura. Di questo borgo fa parte anche una piccola cappella, utilizzata a
richiesta soprattutto per i matrimoni. Il nome del borgo, anticamente
Torchiara, deriva dal 'torchio' e richiama la rudimentale macchina che serviva
per la trasformazione dell'uva. Torrechiara è una frazione del comune di
Langhirano che, come è noto, è la patria del Prosciutto di Parma e centro
principale di questo itinerario.
A Langhirano, nell’ex Foro Boario,
che un tempo ospitava il mercato del bestiame, è stato allestito il Museo del
Prosciutto, uno dei sette Musei del Cibo della provincia di Parma. Attraverso
otto sezioni, viene ripercorsa la storia della lavorazione delle carni di
maiale, dalle origini fino ai giorni nostri. Di particolare interesse è la
sezione che illustra l'evoluzione della produzione del prosciutto. Nella
seconda metà dell'Ottocento il prosciutto, come gli altri salumi, veniva
prodotto da piccoli commercianti che poi lo vendevano nelle loro botteghe e la
lavorazione era interamente manuale. Nel tempo la tecnologia ha trasformato
quasi tutte le fasi della lavorazione da manuali a meccaniche.
Prosciutto di Parma DOP
La storia del Prosciutto di Parma
affonda le sue radici nel periodo preromano. Già gli Etruschi e i Galli Boi,
che vivevano nelle zone del Parmense, avevano la cultura dell'allevamento dei
maiali, favorita dal fatto che la zona era ricca di boschi di querce, da cui
nascevano le ghiande, cibo dei maiali stessi. Con l'avvento dei Romani,
fondatori di Parma nel 183 a. C., le carni di maiale servivano soprattutto per
i fabbisogni dell'esercito e per essere inviate e commercializzate a Roma. In
quel periodo si assiste alla rarefazione dei boschi, in quanto il terreno
veniva utilizzato dai coloni romani per l'agricoltura. Ma anche così la zona
poteva soddisfare il fabbisogno della capitale. Con le invasioni barbariche, in
particolar modo dei Longobardi e dei Franchi, popoli che già praticavano
l’allevamento dei maiali, il terreno torna a ripopolarsi di boschi e di
conseguenza tornano i maiali nei loro pascoli. Gradualmente però i boschi di
pianura tendono a lasciare il posto ai terreni coltivati per la concorrenza
degli allevamenti bovini, dal momento che si intensifica la presenza dei
caseifici. All'inizio del XIX secolo, i boschi erano per lo più in montagna e
l'allevamento suino diventa industriale, con la nascita di grandi porcilaie.
Nell’allevamento industriale per la dieta dei suini si sfrutta anche il siero,
prodotto di scarto della lavorazione dei caseifici, formando così uno stretto
legame fra le due produzioni agroalimentari. La zona di produzione del Prosciutto
di Parma DOP è situata nella porzione della provincia di Parma delimitata dal
fiume Enza a est e dal torrente Stirone a ovest, a sud della via Emilia, ad una
distanza da essa di almeno 5 km e ad un'altitudine non superiore ai 900 metri.
In questa zona devono avvenire anche le operazioni di affettamento e
confezionamento. Il vento che viene dal mare della Liguria, il Marino, attraversa
il crinale appenninico, si incanala nelle valli e diventa fondamentale per
l'asciugatura e la stagionatura delle carni. Il microclima di questa zona è
meno soggetto alle alte escursioni termiche delle zone di alta montagna o di
pianura e questo favorisce il lavoro degli enzimi durante la fase della
stagionatura. Nella zona di produzione del Prosciutto di Parma si lavorano
circa 10 milioni di cosce all'anno, ma solo le cosce posteriori del maiale
possono diventare prosciutto. Quindi per questa produzione occorrono 5 milioni
di maiali, impossibili da trovare nel solo territorio di produzione. Di
conseguenza i maiali provengono da 10 regioni d'Italia: Emilia-Romagna, Veneto,
Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo e Lazio.

Fondazione Magnani-Rocca - Mamiano
La Strada del Prosciutto prosegue
verso la montagna, spingendosi fino ai parchi regionali dell’Appennino
Tosco-Emiliano. Scendendo invece lungo la riva destra del Parma, gli amanti
dell’arte possono trovare sicuramente interessante una visita a Mamiano alla fondazione
Magnani-Rocca, dove si trova esposta una ricchissima collezione privata,
all'interno di una villa, la villa dei Capolavori, a sua volta racchiusa in un
grande parco. La fondazione è stata voluta dal critico d’arte e collezionista
Luigi Magnani. Il percorso espositivo comprende l’Atrio e altre otto sale
tematiche, oltre alle sale private. Solo per citarne alcuni, sono esposte opere
di Tiziano, Goya, Rubens, degli impressionisti francesi, di De Chirico e di
Morandi. Il grande parco attorno alla villa, il Parco Romantico, ospita una
quarantina di specie arboree e un vasto prato che si stende davanti alla
costruzione principale.
Castello di Montechiarugolo
Prima di tornare a Parma e concludere l’itinerario, si può raggiungere Montechiarugolo, paese sul torrente Enza, al
confine con la provincia di Reggio Emilia. In questo centro si trova un altro
Castello del Ducato. Il castello di Montechiarugolo è stato eretto nel XII
secolo dalla famiglia Sanvitale, come presidio militare della valle dell’Enza. La
costruzione si deve a Guido Torelli nel 1406. Nel ‘500 il suo discendente
Pomponio la trasforma in residenza. Un altro Torelli, Pio, ultimo conte di
Montechiarugolo, viene assassinato fra queste mura tramite una congiura ordita
dal duca di Parma Ranuccio Farnese, evidentemente per impossessarsi di quei
territori. È attualmente visitabile, dopo essere stato chiuso per diverso tempo
per restauri.
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